Poiché il suolo pubblico è un bene limitato, la sua occupazione duratura a fini pubblicitari è oggetto di una concessione amministrativa.
Questo è un principio ormai consolidato, che deriva, tra l’altro, dall’applicazione della Direttiva 2006/123/CE (Bolkestein), recepita in Italia con d.lgs. 59/2010.
La direttiva Bolkestein persegue l’obiettivo di assicurare la libertà di stabilimento e di iniziativa economica in un’ottica di piena concorrenza, trasparenza e non discriminazione, e in quest’ottica esprime la necessità del rispetto dei principî di concorrenza, trasparenza, imparzialità, temporaneità, non rinnovabilità e rotazione.
Nel campo delle affissioni su suolo pubblico, la giurisprudenza italiana ha finora applicato queste regole con particolare rigore.
In particolare, da quando l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 5/2013, ha dichiarato una preferenza per l’assegnazione degli spazi pubblici con gara, tutti i procedimenti che assegnavano gli spazi con criteri diversi (tipicamente: quello cronologico di priorità di presentazione delle istanze), se impugnati, venivano facilmente annullati.
Ma in effetti, nei piccoli comuni, dove gli spazi da allocare sono pochi e il valore della concessione è molto inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, la celebrazione della gara appare antieconomica e inutilmente aggravatrice, laddove il procedimento alternativo assicuri comunque il rispetto dei principi posti dalla Bolkestein.
Questo è il caso del piccolo comune etneo di San Giovanni La Punta, che ha previsto l’assegnazione degli spazi pubblici secondo priorità, stabilendo la non rinnovabilità delle concessioni e un limite al numero di concessioni ottenibili con un’unica istanza.
Il Tar di Catania, aderendo all’orientamento più rigoroso, aveva annullato il procedimento.
Il CGARS, in appello, con una pronuncia innovativa, ha riformato la sentenza del Tar etneo, ritenendo: “Ma, a ben vedere, anche il quadro normativo (tuttavia, non espressamente richiamato nella sentenza gravata) e, segnatamente, né la direttiva Bolkestein (direttiva CE n. 123/2006), né l’art. 16 del d.lgs. 59/2010, di recepimento, sanciscono espressamente tale obbligo. Così come, un tale vincolo non si ricava dal Codice degli appalti, che non contiene un obbligo generalizzato al ricorso alla procedura di gara per qualsiasi concessione di servizi. Con conseguente riconoscimento in capo all’amministrazione di un margine di discrezionalità nella scelta della procedura da applicare, salvo il rispetto dei principi prima richiamati, ogni qual volta il valore della concessione, come nel caso in oggetto, sia in sostanza irrisorio rispetto alle soglie di rilevanza comunitaria”.