Dissesto e riequilibrio finanziario in caso di nuove elezioni (Corte costituzionale 34/2021).

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La Corte costituzionale, con sentenza n. 34 dell’11.3.2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 243bis TUEL, laddove prevede che la violazione termine di 90 giorni per la formulazione del piano di riequilibrio finanziario comporti automaticamente l’obbligo di dichiarare il dissesto, anche laddove detto termine cada dopo nuove elezioni che hanno comportato il mutamento della compagine amministrativa dell’ente.

Più precisamente, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 243-bis, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine perentorio di cui all’art. 243bis, comma 5, primo periodo ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

L’art. 243-bis del TUEL stabilisce che, qualora l’ente locale strutturalmente deficitario voglia far ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, debba deliberarne l’adozione con delibera consiliare; dal termine di efficacia di quest’ultima decorre il termine perentorio di 90 giorni per adottare il piano di riequilibrio.

Scaduto quest’ultimo, ai sensi dell’art. 243-quater del TUEL, la deliberazione di dissesto è atto dovuto e l’ente locale non può più far ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale.

L’art. 243-bis, quinto comma, prevede un ulteriore termine di 60 giorni per provvedere alla rimodulazione del piano di riequilibrio già presentato dalla precedente amministrazione, nel caso di insediamento di una nuova compagine amministrativa, qualora il piano precedente non sia ancora stato approvato dalla Corte dei conti.

Un termine analogo non è invece previsto per il diverso caso in cui l’amministrazione precedente si sia limitata a deliberare il ricorso alla procedura di riequilibrio senza adottare il piano. In tal caso, per l’amministrazione subentrante vige solo il termine perentorio di 90 giorni per adottare il piano.

In tal caso, l’amministrazione subentrante potrebbe avere contezza della effettiva situazione finanziaria dell’ente solo dopo le opportune verifiche, il cui esito viene riversato nella relazione di inizio mandato, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149.

Pertanto, la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’automatismo derivante dall’inosservanza del termine in questo caso specifico, che comporta l’impossibilità per l’ente di ricorrere alla procedura di riequilibrio dopo la scadenza del termine dei 90 giorni dalla relativa delibera di adozione.

La Corte costituzionale ha rilevato la violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza e disparità di trattamento: “Rispetto all’amministrazione che opera in continuità – la quale elabora il piano a seguito del ricorso alla procedura di riequilibrio da essa stessa deliberato – quella successiva, pur ereditando un grave squilibrio e l’assenza totale di un progetto di risanamento, si trova costretta a intervenire in un lasso temporale gravemente ridotto e potenzialmente insufficiente, poiché il termine di novanta giorni per deliberare il PRFP decorre da un momento anteriore a quello del suo insediamento, ossia dalla data della delibera di ricorrere alla procedura di riequilibrio assunta dalla precedente compagine”.

Il termine da applicare sarebbe allora quello di 60 giorni dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato di cui all’art. 4bis, comma 2, del d.lgs. n. 149/2011, già previsto dall’art. 243bis, comma 5 per la rimodulazione del piano.

La Corte ha inoltre rilevato la violazione degli articoli 1, 81, 97, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.: “Viola, infatti, i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, nonché il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, l’automatico avvio al dissesto quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e, chiamata a farsi carico della pesante eredità ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il PRFP per l’assegnazione di

un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento ed è sganciato dal momento in cui acquisisce,

con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento”.

Secondo la corte, “la ratio sottesa alla procedura di riequilibrio … è proprio quella di porre rimedio alla situazione deficitaria dell’ente locale ove sia concretamente possibile, mettendo i nuovi depositari del mandato elettorale nella condizione di farsene pienamente carico”.

Qui il link alla sentenza 34/2021 della Corte costituzionale.

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